Luca Cesari, bolognese, classe 1971, cura il blog ricettestoriche.it e per il Gambero Rosso scrive di storia della gastronomia. Il dicembre scorso il Saggiatore ha licenziato Storia della pasta in dieci piatti, sottotitolo Dai tortellini alla carbonara da lui curato compiendo “un grande viaggio alle origini delle nostre paste più amate, tra falsi miti di purezza e aneddoti gustosi”.
In verità, l’itinerario di Cesari inizia con le Fettuccine Alfredo, il piatto di pasta meno italiano che vi sia a livello di successo e notorietà, e si conclude con il più italiano in assoluto, però snobbato dall’alta cucina che lo ritiene troppo banale e casalingo: gli Spaghetti al pomodoro. Tra loro ecco Amatriciana, Carbonara, gli Gnocchi (da intendersi quelli di patate), i Tortellini alla bolognese, il Ragù alla napoletana e poi, settimo capitolo, quello alla bolognese, quindi le Lasagne, il Pesto alla genovese con. la chiusura nel segno degli Spaghetti al pomodoro.
Una prima considerazione: fatico a considerare gli gnocchi una pasta, un primo sì (e pure un contorno in diverse culture), ma non una pasta. Avrei preferito loro le Orecchiette pugliesi anche per allargare i confini geografici del volume verso sud. In pratica abbiamo Roma superstar con tre bandiere, quindi due volte Napoli, due pure Bologna e una Genova, con lasagne e gnocchi diffusi un po’ ovunque. Ma la Sicilia e Puglia non avevano bontà più pastaiole degli gnocchi?
La seconda considerazione è legata alla natura stessa delle preparazioni scelte. In alcuni casi prevale la tipologia e il formato di pasta, in altri il condimento e uno è portato a pensare che non vi sia una sola pasta da abbinarvi. Ad esempio, io adoro le Trenette al pesto, molto meno le trofie. Ma non è certo un punto fondamentale. C’è ben altro e a molti suonerà come una bestemmia, ma il libro di Cesari è un inno alla creatività, solo a non avere gli occhi e il cervello foderati di prosciutto.
Sì, un’ode al genio italiano anche in questo caso, anche quando il campo della pasta è presidiato dai guardiani della tradizione che insorgono non appena uno sbaglia la stagionatura del pecorino o non acquista basilico proveniente dalle alture alle spalle di Genova. Come se questi capolavori fossero nati così come li conosciamo adesso e non fossero invece il risultato momentaneo di una continua mutazione, un costante arricchimento e miglioramento che nulla fermerà.
L’autore ricorda ad esempio come in mezzo secolo, dal 1914 al 1964, siano state pubblicate 25 versioni diverse dell’Amatriciana, meraviglia che il comune di Amatrice ha codificato nel 2015. Ed è facile immaginarsi che sarà minimo la numero 26. Io ho una visione più laica e tollerante della galassia culinaria, quindi applaudo Luca Cesari e il suo libro con una proposta: perché ognuno di noi non ne acquista una seconda copia e la dona all’amico gastro-talebano? Purtroppo ne abbiamo tutti uno.