Io sono sempre stato molto invidiato, quale che fosse il periodo della mia vita, però gli altri non hanno mai capito che c’è una profonda differenza tra il vivere determinati momenti per scelta o per imposizione. Quando il 26 dicembre 1979 entrai per la prima volta nella redazione sportiva del Giornale, mi venne assegnata una scrivania nella stessa stanza che ospitava Enrico Benzing, per tutti il dottor Benzing, perché laureato e formidabile conoscitore di ogni segreto dei bolidi di Formula Uno, tanto da aver contribuito a progettarne alcuni. Tutti gli parlavano dandogli del lei, ma per me era “solo” il mio compagno di banco. Mi aveva, in un certo senso, adottato, perché mi vedeva in continua lotta tra il dovere del redattore per turni e servizi, e la voglia di divertirmi lontano da lì, come è inevitabile per un ragazzo di 25 anni.
Un giorno misi giù il telefono sbuffando: «Che palle ingegnere, tutti a menarmela perché la domenica vado allo stadio a vedere una partita di calcio, ma mica lo decido io quale». E lui mi regalò una riflessione che avrei ricordato più volte: «Paolino, la prima volta che uno ti dice che sei fortunato perché vai a San Siro, ricordagli che noi giornalisti sportivi siamo un po’ come i ginecologi: lavoriamo dove gli altri si divertono». Il brutto era che mi invidiavano i miei stessi colleghi quando lasciavo Milano per seguire una gara di sci o una regata velica, eppure dovevano sapere come stavano veramente le cose: io ci andavo perché mi ci mandavano.
Fu ancora peggio quando iniziai a scrivere di cucina, alla fine degli anni Ottanta. Al Giornale c’era già chi si occupava di ricette, ma a me interessavano i cuochi e i ristoranti. Non era facile trovare spazio per questi argomenti, ma in estate, scarseggiando le notizie di economia e politica, avevo modo di proporre i miei racconti golosi lungo le rotte del turismo. Ogni occasione era buona per piazzare qualche articolo nelle cronache nazionali. E l’invidia cresceva. Eppure, come non potevo scegliere i servizi sportivi, e magari mi toccava da interista magnificare le vittorie del Milan o della Juve, così poteva capitare di pranzare in posti mediocri, oppure stappare bottiglie più vicine all’aceto che al vino. Questo, ovviamente, non veniva mai considerato.
Credo che la vera differenza tra un appassionato gastronomo e un professionista della critica enogastronomica stia proprio in questo, nel non…
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