Se il mondo del panettone ha il problema di destagionalizzare il consumo del suo capolavoro, figuriamoci l’universo del gelato quando ci si lascia l’estate alle spalle per andare ad abbracciare l’inverno. Ben venga pertanto l’idea, dettata anche dall’andamento della pandemia, di celebrare la tredicesima edizione dello Sherbeth festival il 14 dicembre a Palermo, in presenza al Teatro Massimo. Purtroppo senza stand per le degustazioni e, di conseguenza, senza pubblico all’aperto. Tutto al chiuso, presenti i concorrenti, i loro collaboratori e i famigliari, la giuria e i giornalisti. A occhio un centinaio di persone. Certo, sono poche rispetto all’affollato mondo pre-marzo 2020, ma lo scorso anno si svolse tutto a distanza, con i gelati spediti nel capoluogo siciliano, dove era riunita la sola giuria, e non preparati sul posto.
Trentatre professionisti in gara, italiani e non, come sempre Antonio Cappadonia direttore tecnico supportato da Giovanna Musumeci e Arnaldo Conforto, presidente Salvatore Cannavò, con Luigi Buonansegna presidente onorario perché, vittorioso nella precedente tornata, non poteva essere presente, quindi niente applausi e niente trofeo. In pratica lo Sherbeth da lui vinto si è concluso solo mesi dopo quando ha finalmente potuto ritirarlo, applauditissimo.
Un concorrente un gusto, a scelta. Nulla di imposto che è un bene e nello stesso tempo un problema perché c’è chi lo prende come un via libera alla fantasia, al farlo strano. E la stranezza non sempre è sinonimo di innovazione, più spesso di improvvisazione. Poi è anche sempre difficile giudicare pere e mele perché il gusto classico ha il vantaggio di poter essere raffrontato, ma viene penalizzato proprio dalla sua notorietà. Quello nuovo rischia di non avere tanto senso, però racchiude la magia dello stupore. Ha detto Pino Cuttaia, chef in Licata: «Su molti gelati ho trovato tanta passione e impegno dei…
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