Quando mi viene chiesto qual è stato il più bel pasto della mia vita, io so bene che da Alain Chapel nell’84 o da Ferran Adrià sempre, avevo netta la sensazione che era impossibile sentirsi più soddisfatti, così come quando Giorgio, all’Enoteca Pinchiorri, vuole dimostrarti che non c’è cantina migliore al mondo e per te stappa l’impossibile.
E poi mi viene subito in mente il piacere che ti accompagna dopo essere stato dai grandi giovani italiani che si affacciano sul palcoscenico dell’alta ristorazione e hanno una freschezza di idee impagabile, che con la maturità difficilmente manterranno. Sarebbe troppo facile, però, indicare il miglior pasto della mia vita tra queste esperienze: preferisco legare il ricordo della cena che più mi ha dato soddisfazione a una sensazione intima tutta mia, un qualcosa che provi solo tu per motivi che vanno oltre quello che veramente ti viene servito nel piatto.
La nascita di un figlio, il giorno della laurea, una vittoria sportiva, un successo professionale li assapori in una maniera che ti entra nelle viscere perché sono momenti speciali. E così fu per me nel settembre del 1982 quando il Giornale mi accreditò a seguito del Napoli in Coppa Uefa. Non era ancora la squadra di Maradona e l’attaccante di punta si chiamava Ramon Diaz, argentino a sua volta.
Un giornale a diffusione nazionale seguiva tutte le squadre impegnate in Europa: allora non si poteva nemmeno immaginare che sarebbe arrivato un mezzo come internet o che la televisione avrebbe dato la possibilità di…
Continua a leggere qui.