Verissimo: il tempo è la cosa più preziosa che vi sia, non fosse altro che non lo puoi comperare e, tanto meno, fermare. Lo vivi, lo precedi o insegui, lo esorcizzi. A volte credi di averlo domato, cavalcandolo lungo le ore del giorno e della notte, in altre lo subisci e le ore si dilatano così come in altri frangenti le circostanze fan sì che accelerino fino a volare via. Ma sono impressioni, suggestioni e tali restano.
Tutto questo mi è venuto in mente un sabato di metà gennaio andando a pranzo alle Calandre, il ristorante della famiglia Alajmo a Rubano (Padova), in cucina Massimiliano che a maggio compirà cinquant’anni e che ebbi la fortuna di conoscere nel 1992 quando ancora non era maggiorenne ma teneva già le redini in mano al pari del fratello Raffaele a livello di sala. Da allora sono trascorsi 32 anni, le stelle dal 2002 sono tre, il più giovane nella storia della Michelin, più tutto quello che vi ruota attorno di bello e di buono.
Vi sono pluri-stellati che nascevano allora, come Fabrizio Mellino dei Quattro Passi a Nerano sulla Costiera Amalfitana. E nonostante tutti questi anni trascorsi, le Calandre non conoscono l’usura del tempo. Mi chiedo sovente come certi luoghi vengano sentiti, vissuti da chi non ha avuto la fortuna di scoprirli ai loro inizi. C’è entusiasmo? Riescono a catturarne l’anima? Le loro emozioni sono le mie di allora o il purosangue ha perso smalto e lo si percepisce? Accade da sempre e ovunque: promessa, campione, vecchia gloria. E c’è anche chi sfiorisce senza avere mai incendiato il mondo di passione.
Tutto questo non accade alle Calandre. Ho rivissuto tutto come negli anni Novanta, poi gli Zero e quindi i Dieci. E siamo nella decade dei Venti con tre menù degustazione ad attenderti, Classico, Max e Raf. La scelta è caduta sul secondo con un paio di deviazioni come il Bob Spoon, ironico e geniale omaggio a una persona che ci manca tanto: Bob Noto. Era dissacrante e ogni sua parola, gesto, foto lasciava il…
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