Ho sempre subito il fascino della Guida Michelin. Mi piaceva quella pubblicazione stretta e comoda, da mettere in borsa piuttosto che in macchina, quando la macchina era sinonimo di libertà personale e non si parlava di inquinamento, effetto serra e smog.
So bene quanto sia comodo un treno, ma mi viene più facile costruirmi dei percorsi mentali per raggiungere questo o quel ristorante muovendomi in autostrada, con l’ultima edizione della Rossa nella tasca della portiera. Ovviamente adesso la abbino alla Guida di Identità: ci mancherebbe altro che non sia io il primo tifoso del mio lavoro.
Ho sempre adorato vivere nella mente quello che poi cerco di realizzare. Quando Dino Buzzati dipingeva o scriveva delle “formiche mentali” – da ragazzo lo vedevo sempre venire a casa nostra – pareva che mi avesse radiografato la testa.
Penso di non aver mai vissuto un momento senza qualche pensiero. E questo è un bene, perché è un atteggiamento che ti permette di essere pronto quando il caso ti mette davanti un’occasione da cogliere.
Ho sempre saputo dove volevo arrivare e non ho mai fatto caso a chi faticava a riconoscere la validità dei miei obiettivi. Non mi è mai interessata l’opinione altrui, se non come possibilità di confronto e di crescita.
Io che amo la sintesi e non voglio perdere tempo in inutili giri di parole sono sempre stato stregato dall’intuizione delle stelle: una, due o tre. Mi ricordano, in un certo senso, quello che sarebbe stato – fatte le dovute proporzioni – il biglietto da visita di Gesù. Cosa avrebbe scritto se non Figlio di Dio?
E così quelli della guida del pneumatico, con disarmante semplicità, hanno fatto altrettanto. Una, due o tre stelline, macarons, come dicono loro, e giusto due o tre piatti consigliati per quell’edizione. Tante informazioni pratiche e zero testi, non più adesso, ma per anni e anni è stato così.
E, su tutto, mai una spiegazione delle loro scelte: un po’ come gli oracoli dell’antichità che rendevano note le loro divinazioni e chi ci voleva credere, ci credeva, se no…
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