Difficile imbattersi in realtà che gettano via il pane vecchio invece di riciclarlo, dolce o salata che sia la ricetta pensata. In Trentino, ma non solo, la soluzione sono grandi gnocchi, grandi come palle da tennis, come arance, chiamati canederli. Le radici sono povere, riciclare non è mai sinonimo di ricchezza, ma lo sviluppo può riservare note di sincera bontà. Nel mio caso non è solo una questione di ingredienti, preparazione, cottura.
Anche se mio padre, trentino di Lavis, una quindicina di anni fa lo negò, e io non la presi bene, io mi sento anche figlio di quelle valli e quegli spazi, non solo di Milano. Così per me i canederli, ovviamente fatti in casa da mia nonna o da una zia, sono memoria ben prima che un piatto. Bello e intenso, proprio per questo, avere girato una puntata di Capolavori italiani in cucina con Alfio Ghezzi, in onda a Striscia venerdì 21.
Quali gnocchi però e quali condimenti? Chef al Mart di Rovereto, dove conduce sia un bistrot sia un ristorante chiamato Senso, stellato come tutti quelli precedenti, i canederli sono una bandiera, in fondo nuova: «Un tempo non li facevo, li ho sempre un po’ snobbati probabilmente perché, avendo lavorato tanti anni a Milano, prima Marchesi, poi Berton, avevo un’idea della cucina più mediterranea e tralasciavo un po’ la mia origine che è di montagna, una tradizione contadina».
Nato nel 1970 a Breguzzo, quando era ancora un comune a se stante delle Giudicarie, li propone da non più di tre anni e al burro, smalzadi in dialetto, da smalz, burro in cimbrico. Non è affatto scontato. Per i miei nonni e zie, i canederli andavano mangiati rigorosamente in brodo e mi redarguivano se anche solo provavo a chiederli scolati e conditi con burro e salvia. Però vivevano in Valsugana, quindi nella metà orientale della…
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