L’ultimo numero di Identità di Pasta, uscito lo scorso 29 marzo, è dedicata a sua maestà la Carbonara. Oggi infatti, martedì 6 aprile, si celebra il quinto Carbonara Day, guai non fosse così. Come ama ripetere Alessandro Pipero, «la Carbonara non sempre viene bene, ma viene sempre buona». Ed è verissimo, nonostante sia facile inciampare in qualche passaggio, soprattutto a casa, tra noi cuochi(ni) per passione o necessità. La tentazione è eternamente la stessa: ricorrere a qualche goccia di panna per evitare l’effetto frittata. E’ una bestemmia assoluta, però, nel dubbio, sempre meglio che cannare l’aggiunta del tuorlo.
La Carbonara è giovane, da metà anni Quaranta in poi, dalla liberazione di Roma da parte degli Americani tanto che una bibbia come La Cucina italiana, il mensile, ne scrive per la prima volta solo nel numero dell’agosto 1954. E la ricetta è ben diversa da quella ormai fissata ai giorni nostri, segno che il lavoro di scrematura per giungere all’essenziale era ancora lontano. Semplicemente, non se ne sentiva ancora il bisogno.
Inorridite con noi. Gli ingredienti erano: 400 g Spaghetti, 150 g Pancetta, 100 g Gruviera, 2 Uova, 1 Spicchio di aglio, Sale, Pepe. No guanciale, no pecorino e nemmeno parmigiano. Strano manchi abbondante panna.
Ma mi sono imbattuto in ben di peggio, anche se va precisato subito che erano gli anni Ottanta, a Southampton sulla Manica, costa britannica, quindi certo un’area non vocata per deliziarsi a tavola, soprattutto se cucinava un inglese. Il posto era simpatico, dava sull’acqua, tavoli all’aperto e tanto naviglio di ogni genere che si muoveva su e giù. Si stava bene, ci si rilassava e una volta che avevi tirato il fiato ordinavi la cena senza tante pretese golose.
Una volta, due volte e arrivò il momento che crollai e ordinai la carbonara (la iniziale minuscola è d’obbligo). Lo feci per curiosità, non per masochismo. Arrivarono spaghetti troppo cotti, ovviamente, ma quel che proprio era inaccettabile era la salsa, molto liquida: panna, uova e prosciutto cotto, forse pure piselli giusto per un effetto cromatico. E dire che lassù hanno il culto del bacon la mattina a colazione. Immangiabile, se non per cortesia.
Ma non è finita. Dissi al patron che, tornato in Italia, gli avrei inviato una ricetta molto più gagliarda e italiana. Mi ringraziò e quando tornai da lui l’anno dopo, ordinai subito la carbonara. Ero pieno di speranze, mi sentivo una sorta di missionario della nostra cucina. Errore da matita blu: era ancora quella di prima. Per lui era buona come la preparava lui, soprattutto i suoi clienti la volevano così. Per una più conforme a quella romana c’erano le insegne tricolori.
Buona Carbonara a tutti. E, visto che in pratica non possiamo invitare a pranzo o a cena nessuno, fatela come piace a voi. Con quello che non stiamo vivendo, nessuno ci mostrerà un cartellino rosso se per una volta abbandoniamo l’ortodossia. Al massimo non ditelo in giro…
Nella foto, la Carbonara di Francesca Ciucci e Mirka Guberti al Ciambella bar a vin con cucina a Roma.