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Paolo Marchi
Paolo Marchi
    Identità Golose

    Locatelli tra Brexit, emergenza virus e orgoglio italiano

    1 Maggio 2020

    Ore 16, mi connetto con Giorgio Locatelli attraverso l’account instagram di Identità Golose. «Ciao Paolo», risponde il cuoco lombardo, dal 2002 al timone di Locanda Locatelli a Londra, «ti rispondo dalla mia casa a Camden Town. Sono qui con mia moglie e mia figlia. Siamo in isolamento da 3 settimane, con una o due settimane di ritardo rispetto a voi».

    Come state vivendo l’emergenza in Inghilterra?
    Si è capito che la teoria dell’immunità di gregge non ha funzionato, per colpa del caprone che l’aveva ventilata agli inizi (il primo ministro Boris Johnson, ndr). È stato strano perché gli inglesi sono sempre previdenti e organizzati. Invece c’è stato un tentennamento esagerato, durato troppi giorni. Cui poi si è aggiunta anche la festa di San Patrizio: erano tutti in giro a festeggiare, irlandesi ma anche inglesi. Spero di no, ma temo che vedremo le conseguenze di questo nelle prossime due settimane.

    Una malignità: gli inglesi non hanno preso seriamente l’allarme perché l’epidemia in Europa ha avuto inizio da noi e non in Francia o Germania.
    Hai perfettamente ragione. Noi che eravamo sintonizzati sull’Italia abbiamo deciso di chiudere una settimana prima degli altri. Chiamando i clienti per disdire le prenotazioni, le nostre ragazze venivano insultate: ‘ma cosa volete che sia’, rispondevano. Tutta colpa dell’esempio negativo che veniva dall’alto. Sottovalutava clamorosamente la gravità della situazione.

    Sei varesino del lago di Comabbio. Quanto ti hanno aiutato le radici italiane per affrontare Parigi e poi Londra?
    All’inizio pensavamo fosse un fardello cucinare italiano in Francia e in Inghilterra. In realtà il vissuto italiano mi ha molto aiutato nelle esperienze da patron a Londra (prima col ristorante Zafferano e poi con la Locanda, ndr): nella distribuzione dei ruoli, il ristorante era organizzato come una famiglia. Soprattutto, ci era chiaro fin da subito che i ristoranti sono fatti dalla gente, non dalle sedie o dai tavoli. E questo è un pensiero molto italiano.

    Quando hai lasciato l’Italia, nel 1986, pensavi che saresti tornato prima o poi?
    Ero uno spirito molto libero, non avevo piani precisi. Ero felice di stare a Londra, non mi facevo molte…

    Continua a leggere qui.

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