Le vacanze a Levanto, tra Sestri Levante e La Spezia, erano una cosa seria, lo erano soprattutto per me. Ho sempre ringraziato i miei genitori per avermi portato lì, quando avevo tre o quattro anni. Avevamo trascorso un paio di estati sulla riviera di Ponente, senza emozione alcuna. Poi alcuni amici ci suggerirono questa cittadina e fu amore a prima vista.
Levanto era abbastanza grande da non far sentire “imprigionati” i turisti. A differenza di tanti altri paesi della Riviera Ligure, era chiusa da due promontori, ma le colline alle sue spalle erano ben distanti. Potevi così facilmente allontanarti e andare alla scoperta delle frazioni, su tutte Montale, dove c’era un bar con il calcio balilla, oppure potevi avventurarti lungo i sentieri che salivano verso Punta Mesco, raggiunta la quale si scendeva quasi in verticale verso Monterosso e le Cinque terre.
Quando ero ragazzo ricordo che mai e poi mai i levantesi avrebbero voluto confondersi con i liguri che popolavano Monterosso, Vernazza, Corniglia, Manarola e Riomaggiore. Succede lo stesso a Cortina d’Ampezzo rispetto al Cadore. Chi si sente nobile, guarda dall’alto quelli che considera popolani.
Il mio amore per Levanto non nasceva solo dalla gioia per essere in vacanza o perché erano belli i bagni in mare piuttosto che le gite con il gozzo a visitare Vernazza. Amavo quel posto per la sua cucina e per i profumi tutti suoi, che sono rimasti impressi nel mio cuore e nella mia memoria. Per me la scoperta della focaccia alla salvia più alta rispetto alla focaccia bassa e unta era pari alla gioia che mi dava il sorriso di… Continua a leggere qui.