Viviana Varese, passo dopo passo. Il primo locale a ventun’anni a Orio Litta nel lodigiano, anno 1995: «Non sapevo nemmeno cosa fosse la guida Michelin». Undici anni di anonimo cucinare e un lentissimo avvicinarsi mentalmente a Milano e a orizzonti ben più vasti per chiudere finalmente tutto nel 2006 e trasferirsi nel capoluogo. Quel locale che verso il Po si chiamava Il Girasole, in via Adige divenne Alice, un pesciolino per simbolo ma anche un omaggio a Lewis Carroll. Lei, Viviana, in cucina e la compagna e socia Sandra Ciciriello in sala e cantina. E si sarebbe chiamato Alice anche con il trasloco, marzo 2015, all’ultimo piano di Eataly Smeraldo.
Adesso non più. Dallo scorso novembre Sandra è il passato, in ogni senso, e così adesso che si è chiuso un capitolo importantissimo durato 14 anni, la Varese non solo in piena estate ristrutturerà il ristorante ma gli cambierà nome: da Alice e basta a Viva Alice, un gran bel gioco di parole. «Me lo suggerì in un articolo il giornalista Paolo Galliani. Ero ancora in via Adige e lui sosteneva che Alice era sì una gran bella e simpatica insegna, ma non rendeva giustizia al mio apporto tanto da suggerirmi di cambiarlo in Viva Alice sia come inno alla qualità sia per evocare le mie iniziali, Viva uguale V.V. Viviana Varese. Non ci avevo davvero mai fatto caso». E così sarà a partire da…
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Nella foto, da sinistra verso destra, Gianluca De Marco e Luis Diaz, i due nuovi maitre, quindi la chef con Ritu Dalmia, la ristoratrice indiana che ha acquistato il 20% dell’insegna della stessa Varese. Infine le due sommelier, Federica Radice e Jessica Rocchi