Classe 1990, Romagnolo DOC, Mattia Cicognani ha fatto della sua passione più grande una professione, seguendo con curiosità e creatività le orme del nonno ristoratore che gli ha permesso, fin da piccolo, di conoscere e amare questo ambiente. Ma l’ospitalità è un’arte che incontra nell’hôtellerie la sua quintessenza: a soli trent’anni, Cicognani lavora come direttore di sala presso lo storico Palace Hotel di Milano Marittima ed è quality manager per il gruppo Batani Select Hotels. Non solo, è insegnante presso la scuola alberghiera di Serramazzoni sull’Appennino modenese. Per tutti questi motivi, è il perfetto autore di Ospitalità, a way of life per Maretti Editore, foto di Lido Vannucchi, contributi di Marino Golinelli, Massimo Montanari, M.me Danièle Pacaud e Paolo Marchi, autore della prefazione pubblicata in questo spazio.
Spesso mi domando perché quasi tutti coloro che si avvicinano al mondo di ristoranti, pizzerie, trattorie, pasticcerie, bar, vogliono sporcarsi le mani lavorando in cucina o in laboratorio e non tra i tavoli. Meglio preparare un piatto o un dolce che servirli. Vero che con la rivoluzione della Nuova Cucina nel segno di Gualtiero Marchesi, da fine anni Settanta in poi, i cuochi hanno finalmente avuto un nome e un cognome, un’immagine nota, pubblica. Verissimo che trasmissioni come MasterChef fanno sembrare il mestiere di chef facile, divertente, una scorciatoia per il successo, ma penso che vi sia qualcosa di più profondo in questo generalizzato rifiuto del lavoro di sala. In estrema sintesi: chi detesta la cucina è un’eccezione, chi ama la sala pure. Qualcosa non torna e si ripercuote sul sistema ristorativo.
Il senso dell’ospitalità, la cura dell’accoglienza non possono essere considerati secondari. Non dovrebbe esistere l’organizzare un pubblico esercizio dando più importanza alle preparazioni rispetto al servizio, eppure capita sovente. Se può succedere che un cuoco sia tacciato di essere un bruciapadelle, a volte detto per scherzo, a volte seriamente, la parola cameriere invece quasi non ha bisogno di sinonimi negativi perché già racchiude in sé una vena sfavorevole. Se uno è chef, se cucina, se fa parte di una brigata più o meno stellata gode di un rispetto automatico, di ammirazione. Ben più raramente senti gli stessi toni nel riferirsi a chi completa quel lavoro, a chi si preoccupa di cosa accade tra il pass e il…
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