Fabio Picchi, fiorentino, classe 1954, è scomparso venerdì 25 febbraio dopo una lunga malattia contro la quale aveva lottato fino all’ultimo, ben sapendo che non ne sarebbe mai uscito vincitore. Figura importante nel panorama fiorentino, per tutti era il signor Cibreo, ristorante che aveva fondato nel 1979 e al quale nel tempo avrebbe aggiunto altre perle di alta e autentica qualità. Scrittore e personaggio televisivo, amava la polemica e la politica.
Lunga chioma bianca e folta barba, anch’essa bianca, era impossibile, per chi nutre un minimo di interesse verse il mondo della ristorazione, non conoscere, distinguere Fabio Picchi, chef e patron fiorentino di più insegne, tutte aperte sulla scia del successo della primissima, il Cibreo, nel quartiere di Sant’Ambrogio, in via dei Macci 122r.
Basta pesare, unire tra loro, due date per comprendere, senza sforzo alcuno, l’importanza e la forza di quell’apertura, il 1954 e il 1979, l’anno di nascita di questo personaggio, salito in cielo troppo presto, e l’anno di apertura del suo primo locale. Tra i due momenti trascorsero 25 anni appena. Sono davvero pochi, anche perché Picchi non iniziò con un bar-panineria, bensì con un ristorante vero e proprio, permeato da un’idea che subito lo differenziò dalla massa di trattorie tutto ribollite, bistecche e pappe al pomodoro.
Il Cibreo rifiutava i luoghi comuni, le scelte scontate. Del resto, il nome stesso lo lascia intuire. Si chiama così un piatto della secolare tradizione locale, uova e rigaglie, in particolare fegatini, bargigli, creste e testicoli. Un’evidente dichiarazione di intenti: tradizione a manetta, ma rifuggendo dai luoghi comuni. E a chi diceva che venivano presentate sempre le stesse cose, Picchi rispondeva che «I nostri menù seguono principalmente i…
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