È chiaro che è una domanda retorica e non cambia di una virgola quella che è stata la mia vita, lo stesso però mi chiedo quante probabilità avrei avuto di diventare critico enogastronomico se prima non fossi stato un giornalista sportivo. Ho usato il calcio, lo sci e la vela anche per scoprire nuove insegne, ristoranti interessanti. Potremmo parlare di fiuto, ma questo vale soprattutto agli inizi, quando non hai nome e devi arrangiarti risalendo la corrente.
Poi, pian piano, sono riuscito ad avere spazio nelle pagine del Giornale e, alla lunga, era evidente la mia vocazione a sedermi il più possibile a tavola.
Durante il mio lavoro di cronista sportivo, c’erano stadi dove sapevo che avrei incrociato qualche suggeritore. E così accadde nel settembre del 1995, durante una partita in casa dell’Udinese. Era una notturna e quando scesi negli spogliatoi per ascoltare gli allenatori, un collega friulano mi disse qualcosa come: “Paolo, sai già dove andare a cena?” Risposta negativa.
Ero arrivato all’ultimo momento da Milano e sapevo che sarei dovuto ripartire presto la mattina. Non avevo programmato nulla per rubare qualche ora alla notte e riuscire finalmente a dormire bene. I programmi cambiarono immediatamente quando mi disse che c’era un posto che stava cambiando pelle e che meritava una mia visita. Stava all’altro capo della città rispetto allo stadio Friuli, ma l’occasione di conoscere qualcosa di nuovo vince sempre in me.
E così, verso mezzanotte, ero seduto Agli Amici della famiglia Scarello in località Godia. L’insegna sarebbe completa aggiungendo una data, il…
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