Sabato 14 settembre 1996 è stata una giornata che la Lega di Bossi cercò di far passare alla storia con una scampagnata alle sorgenti del Po sul Monviso. Una volta raccolta l’acqua del grande fiume si fece tanto folclore, ma poi sappiamo come è andato a finire questo progetto.
Anche io, quel giorno, dovevo andare in Piemonte, ma per tutt’altro motivo: intervistare Angelo Gaja perché raccontasse ai lettori del Giornale come si può conquistare il mondo con due vini, il Barolo e il Barbaresco, che non appartengono certo alla grande famiglia dei vitigni internazionali.
A un certo punto, quella che doveva essere una giornata intera in cantina, si trasformò in un pranzo, Gaja e io, al Cascinale Nuovo dei fratelli Ferretto, Walter e Roberto. Angelo lo scelse perché lo avevo pregato di incontrarci il più vicino possibile al casello di Asti Est. Non potevo perdere tempo: erano successi un paio di pasticci in redazione e a casa mia e, quindi, sarei dovuto tornare presto a Milano.
Ci fecero accomodare al tavolo d’angolo di una sala che, presto, avrebbe visto arrivare altre otto persone, sei a un tavolo, due a un altro. Quello che successe non l’ho mai dimenticato, perché fotografa più di milioni di parole l’ignoranza dell’italiano medio in materia di cibo e di vino, la mancanza totale di rispetto verso chi lavora per offrire il meglio, l’incapacità di dare il giusto valore a un pranzo piuttosto che a una bottiglia.
Noi italiani sappiamo tutto della moda, delle auto, dei cellulari, dell’intimo di Belen, dei biglietti per una partita di calcio, ma non si è mai sentito nessuno arrabbiarsi con la Ferrari o con Armani perché un bolide o un capo di alta moda costano troppo. Tutti sanno che, se vai in un grande magazzino, spenderai cento volte meno per…
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