Nessun’altra prima volta mi ha emozionato come quando andai da Davide Scabin, in quello che negli anni Novanta era il Combal e non il Combal.Zero del nuovo secolo. Diverso anche l’indirizzo, sui tornanti sopra Almese, all’imbocco della Val di Susa e non accanto al castello di Rivoli. Una trattoria in piena regola, con la cucina in cantina, i piatti che arrivavano in sala grazie a un montacarichi e nessun collegamento diretto tra il sopra e il sotto del locale, al punto che, se il cuoco voleva parlare con un cliente, doveva uscire in strada, fare il giro attorno all’edificio e rientrare dalla porta principale.
Davide letteralmente mi lasciò senza a parole, tanto che iniziai la mia rubrica sul Giornale con queste parole: «Tanto per essere chiari: Davide Scabin è un genio». Non che non mi sia emozionato a mille anche in altri ristoranti, ma erano posti già noti al grande pubblico. Alain Chapel? Tre stelle, esattamente come Gualtiero Marchesi o Ferran Adrià. In fondo, se andavi a El Bulli ieri o all’Osteria Francescana di Massimo Bottura oggi, tutto è più che perfetto dall’antipasto al dolce e si tratta “solo” di vedere se le aspettative coincidono con quello che ti trovi nel piatto.
Di certo nessuno ora potrebbe vantarsi di aver scoperto la Francescana o qualche altra insegna acclamata. Davide, invece, a quei tempi, era quasi sconosciuto e non ringrazierò mai abbastanza Bob Noto per avermi portato là. Ogni critico ha la sua rete di amicizie e poi ci sono i lettori, che ti danno suggerimenti, contenti se poi tu scrivi bene del posto che ti hanno segnalato. Bob è un fotografo che, come me, si emoziona davanti al nuovo, al geniale, attento a ogni sfumatura insolita.
La storia di Scabin è lunga e tormentata, perché c’è un prima e un dopo. Cuoco in un bell’indirizzo torinese, lasciò il ristorante dalla sera alla mattina, quando la…
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