Massimiliano Alajmo, classe 1974, rappresenta un caso unico a livello assoluto, anche fuori dall’Italia. Sua mamma Rita gli consegnò le chiavi della cucina che era appena diciottenne, così come suo padre fece altrettanto, con quelle della sala, con il fratello maggiore Raffaele, del 1968. I genitori si trasferirono dalle Calandre di Rubano alla Montecchia di Selvazzano e, da quel momento in poi, non misero più becco nel lavoro dei figli. Eppure pochi credevano fosse davvero così. Viene in effetti difficile credere che due ragazzi così giovani potessero avere già una padronanza assoluta del mestiere e una voglia creativa ed imprenditoriale così forte da affrancarsi subito da mamma e papà, senza mezzi termini.
Quando Massimiliano aveva appena diciannove anni, fece domanda per entrare nell’associazione dei Jeunes Restaurateus d’Europe. La richiesta venne respinta con l’invito a tornare l’anno dopo, quando avrebbe compiuto vent’anni, un po’ perché era titolare da troppi pochi mesi e, soprattutto, perché i suoi colleghi non immaginavano che lui e Raffaele fossero gli effettivi titolari.
A parziale discolpa di chi prese la decisione – “Tutta gente che aveva il doppio dei miei anni” ricorda Massimiliano – c’è da dire che era già capitato che, pur di entrare in quel gruppo molto selezionato, altri avessero fatto i furbi. Purtroppo noi italiani scambiamo la furbizia per intelligenza e, così, va finire che, davanti a quello che io chiamai subito il Mozart della cucina, tanti fecero una brutta figura allontanandolo. Chi giudica dovrebbe essere in grado di cogliere anche le eccezioni e separare la farina dalla crusca, perché bastava un piatto di Massimiliano per applaudirlo e…
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