Per la serie: «E’ facile invidiare chi ha successo», ma prima di farsi prendere da questo sentimento bisognerebbe informarsi bene su quanta polvere hanno dovuto mangiare quelli che, da un certo punto in poi, tutti riconoscono come grandi. Nessuno nasce imparato, come si dice a Napoli.
Adesso che sono passati oltre settant’anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale ben pochi ne hanno ricordo diretto. Invece è bene che le nuove generazioni conoscano gli stenti vissuti da chi magari aveva dieci anni e inferno e morte tutt’intorno. Aimo Moroni è uno dei tantissimi toscani saliti a Milano nell’immediato dopoguerra per cercare fortuna e, siccome la cosa che un po’ tutti sanno fare è cucinare, anche lui inseguì il sogno di aprire una trattoria tutta sua.
Prima di riuscirci in via Montecuccoli, periferia ovest del capoluogo lombardo però, si dovette arrangiare spingendo un carretto che vendeva gelato d’estate e caldarroste in inverno, piuttosto che pulire patate in qualche ristorante del centro storico. E tutto questo a dodici anni, ben lontano, quindi, dalla maggiore età, allora che allora scattava a 21 anni. E adesso che ha superato gli ottanta non si vergogna a mostrare un santino con l’immagine di frate Cecilio, l’uomo che fondò la mensa dei poveri dell’Opera San Francesco di Viale Piave.
Aimo era solito passare di là con il suo carretto e racconta sempre di quel giorno in cui un vigile lo bloccò per un controllo. Era evidente che era troppo piccolo e che non aveva il…
Continua a leggere qui.