Quando ripenso alla mia vita da cronista sportivo, con redazione a Milano, quella del Giornale, credo che, se potessi tornare indietro, mi farei mandare sempre in trasferta a Napoli. Non c’è un’altra città italiana dove la gente sia altrettanto sveglia, brillante e acuta e, poi, anche se spesso si trovano piatti troppo unti, la golosità della sua cucina è unica.
Quando mi capitava di essere inviato all’ombra del Vesuvio, facevo carte false per partire alla vigilia e riuscire così a cenare là anche la sera prima della partita. Lo stesso sarebbe successo il giorno dopo, la domenica, visto che non c’erano aerei notturni per tornare a Milano e, quindi, dovevi per forza fermarti a Napoli per scrivere l’articolo. Così, per mia gioia, le cene diventavano due. Senza contare che la domenica a pranzo c’era sempre qualcuno del posto che ci teneva a coinvolgere i giornalisti “forestieri” in qualche abbuffata nei pressi dello stadio San Paolo. Credo che sia pressoché impossibile poter seguire una dieta a Napoli.
Se l’unico inviato del Giornale ero libero di prenotare dove volevo, mentre se andavo con qualche collega si mediava. A inizio anni Ottanta viaggiavo spesso con Gianni Brera, e, già prima di prenotare il biglietto, sapevo già che il Grande Padano avrebbe avuto il suo tavolo fisso da Dante e Beatrice. Il ragù lì era proverbiale, magari impiegavi qualche giorno a digerirlo, ma, sul momento, proprio non ci pensavi. Io, invece, preferivo…
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