Si può morire per mille e ancora mille motivi diversi, vecchiaia, malattie, incidenti, depressione… e nessuno è mai contento anche se sappiamo fin dalla nascita che siamo tutti di passaggio su questa terra. Il coronavirus arriva per ultimo. Ha messo a nudo la fragilità della macchina e dell’anima umane, ovunque nel pianeta. In Italia vi abbiamo aggiunto del nostro e certi settori dell’economia rischiano di non essere più gli stessi nelle forme fin qui conosciute, pallide copie sopravviventi in un cimitero di chiusure e fallimenti.
Un governo che non riesce a garantire la distribuzione delle mascherine, ignora colpevolmente l’agonia del mondo della ristorazione nelle sue cento forme, non risponde agli appelli che gli vengono rivolti da ogni dove, Fipe e #FARERETE in primis, e demanda a chi non conosce questo universo le regole per le riaperture di bar e pasticcerie, ristoranti e osterie, pizzerie e rosticcerie. Ponzio Pilato non avrebbe fatto diversamente.
Ancora 48 ore e il “Documento tecnico su ipotesi di rimodulazione delle misure contenitive del contagio da SARS-CoV-2 nel settore della ristorazione” diventerà esecutivo e per la maggioranza degli imprenditori sarà la parola fine dopo i titoli di coda, a cui tanti sono già arrivati.
Lo hanno redatto Inail e Istituto Superiore di Sanità sui quali il governo Conte ha scaricato il problema della sicurezza tra sale da pranzo e cucine, banconi e tavolini. Questo senza che il premier e ministri con voce in capitolo degnassero di un cenno di risposta, figuriamoci un tavolo di confronto a Roma o in televisione, a chi fa impresa in questo settore.
I sei esperti che vi hanno lavorato hanno firmato, raccomandando 4 metri quadrati per ogni cliente, una condanna a morte per decine di migliaia di esercizi e la certezza della disoccupazione per centinaia di migliaia di dipendenti. Senza scordarci che questo sarà uno splendido regalo per la malavita che già è titolare di tante società alberghiere e ristorative e potrà allargarsi scegliendo fior da fiore cosa acquisire a prezzi stracciati.
Un favore: niente prese in giro. Se questo protocollo diverrà il vangelo per le riaperture tra il 18 maggio e il 1° giugno, governo e politica evitino d’ora in poi di parlare della nostra cucina come di un vanto della nazione perché stanno dimostrando di non crederlo, di eccellenze che il mondo ammira e ci invidia (verissimo, ma non per quanto da sempre fanno a Roma), di organizzare la Settimana della Cucina Italiana nel mondo non fosse altro perché a novembre vi sarà altro, soprattutto mense per i poveri.