Guido Paternollo, 31 anni, milanese, nel 2014 iniziò a prendere le misure per ottenere un contratto pieno alla Ducati, lui due volte laureato in ingegneria, prima meccanica e poi matematica. Per cucinare cucinava, ma per se stesso, la famiglia e gli amici: «Nulla che facesse pensare che potessi diventare uno chef, farne la mia professione. E’ come corricchiare al parco e pensare di potere impegnarsi nelle maratone olimpiche. Ci sono abissi tra il livello amatoriale e quello dei professionisti».
Otto anni dopo eccolo curare, da executive, ogni forma di offerta gastronomica del più centrale dei 5 stelle lusso di Milano, il Park Hyatt in via Tommaso Grossi, ben pochi metri e si entra nella Galleria meneghina per antonomasia. Lo spazio gourmet è quasi il meno urgente da registrare anche se l’eredità lasciata dal predecessore, Andrea Aprea, è di quelle importanti visto che il napoletano vantava due stelle Michelin. Proprio per segnare uno stacco netto, è cambiata l’insegna, da Vun a Pellico 3, la via e il civico svoltato l’angolo, da dove si può entrare direttamente nel ristorante.
Resta da capire il passaggio di questo talento da un mondo a un altro completamente diverso, dopo avere studiato per emergere nel primo, le moto Ducati richiedono tanta serietà, e non certo nel secondo: «Abitavamo in corso Italia, in pratica dall’altra parte rispetto a piazza Duomo e via Mazzini. Un giorno successe che mio padre cadde in bici battendo la testa. Sembrava non si fosse fatto nulla, invece aveva subito una emorragia cerebrale molto lenta nel palesarsi. Un giorno non riusciva più a parlare, subito soccorso, da tempo sta benissimo. Ma allora mi chiesi “e se fosse capitato a me? Se fossi morto senza avere svolto la professione preferita, che senso avrebbe avuto la mia vita?”. Così cambiai totalmente orizzonti».
Resta da capire perché non studiò subito cucina, senza aspettare in un certo senso la chiamata: «Nella mia famiglia, e con famiglia intendo tutti, nonni, genitori, zii, fratelli…
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