C’è un baccalà mantecato consegnato alla storia, e che storia. Tutto ebbe inizio per caso nel gennaio 1432 quando il mercante veneziano Pietro Querini fa naufragio nell’arcipelago delle Lofoten per essere poi tratto in salvo dai pescatori della vicina isola di Rost. Lì scoprì lo stoccafisso, merluzzo essiccato al sole e al vento, senza uso di sale. Tornato nella Serenissima, quel prodotto spopolò perché magro, facilmente conservabile e molto versatile.
Ma nonostante siano trascorsi secoli e secoli da quel viaggio, a Venezia, dove tutto è iniziato, come a Vicenza, dove più lo sanno esaltare, per baccalà (di norma il termine per identificare il merluzzo conservato sotto sale) si intende lo stoccafisso. E già questo dovrebbe far capire che la sacralità della preparazione non risiede nel tipo di conservazione del pesce, ma nell’abile gioco di amalgama tra gli ingredienti. Che nella più tradizionale delle ricette, con tanto di confraternita, è scandito da ben pochi ingredienti: stoccafisso o baccalà, comunque quello essiccato, olio extravergine d’oliva, aglio, alloro, limone, sale e pepe.
Poi nulla e nessuno ferma il tempo e in anni ben più vicini a noi le variazioni abbondano, soprattutto il merluzzo fresco, salato dallo chef, e non più quello stoccafisso style, e il latte al posto dell’olio, latte che poi ritroviamo nel baccalà alla vicentina. Quindi non una bestemmia. Senza scordarci che nel mondo le ricette sono centinaia e centinaia, come si fa ad arginare un tale mare di…
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