Mio padre Rolly, scomparso nell’ottobre del 2013, si considerava un decatleta della vita, una di quelle persone capaci di fare bene un po’ tutto, ma nulla così bene da decidere di specializzarsi in questo o quel mestiere. Proprio come i decatleti che si sfidano in prove di atletica leggera completamente diverse tra loro fino a diventare campioni olimpici. Se però si confrontassero con atleti specializzati in una disciplina sola nemmeno si qualificherebbero. Sono uomini che vincono per la costanza e la poliedricità, e così era mio padre. Insomma il nonno – come lo chiamavamo io e mio fratello Jacopo da quando gli abbiamo regalato dei nipotini – era capace di stupirti un po’ in tutto. Ma c’era una cosa che proprio non gli riusciva: i lavori domestici.
Nato nel 1921 a Lavis, a nord di Trento, non solo era figlio unico, ma non aveva nemmeno cugini e, quindi, essendo l’unico piccolo di casa, era viziato da tutti. Non aveva nessun concorrente, di conseguenza tutti erano al suo servizio.
Se aprivi la casa al mare dopo che ci era stato lui per ultimo, potevi trovare le bucce di mela ancora sul tavolo della cucina e la teiera ancora mezza piena. In fondo era una cosa simpatica, e io e mio fratello ne abbiamo sempre sorriso.
Fu a Paxos, fagiolo di pietra e di verde a sud di Corfù, che scoprii un aspetto di mio padre che non conoscevo. Quando arrivammo su questa isola greca, circondata dal mar Ionio, nell’estate del 1983, mi stupii nel vederlo cucinare, cosa che non gli avevo mai visto fare prima né a Milano, né a Levanto, né a Cortina.
La nostra casa era ricavata in un vecchio frantoio tra gli ulivi: due piccole stanze, un bagnetto, una sala con angolo cottura, un bellissimo patio e tanta serenità.
Là era costume invitarsi tra amici per la cena, ma con una differenza: tutti gli altri erano ricchi e ottimamente attrezzati, grandi yacht per fare il bagno al largo, piuttosto che ville con personale cucinante come in un vero ristorante. Noi, invece, dovevamo arrangiarci con un fornello a…
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