Le persone, gli abitanti della terra, si dividono tra chi vede il bicchiere mezzo pieno e chi mezzo vuoto. Per mio padre Rolly era addirittura sempre pieno anche quando non lo era affatto. Per mia madre Graziella l’esatto contrario, non riesce proprio a percepirlo con qualcosa dentro. Io? Io sono più vicino a mamma, cerco regolarmente di capire dove avrei potuto fare meglio e va quasi sempre a finire che non mi godo fino in fondo anche una cosa riuscita bene. Questione di carattere.
Papà si incupì sei anni fa. Aveva capito che le forze lo stavano lasciando e l’anima pure. Lo ricoverammo di giovedì alla San Giuseppe, in via San Vittore a Milano: «Questa volta è finita», disse. L’indomani, venerdì 13 ottobre, nel tardo pomeriggio, bussò alla porta l’amica Beba Schranz, ex azzurra di sci, cosa che per Rolly valeva come una laurea con lode. Arrivava da Macugnaga.
Dannandosi non poco, era riuscita a raccogliere e a conservare in una borsa termica la prima neve caduta alle pendici del Monte Rosa. Sollevato alla meno peggio l’ideatore del Trofeo Topolino, gliela appoggiò tra le mani strappandogli quello che fu l’ultimo sorriso vero e sincero, presenti Beba e mia moglie Luisa. La mattina seguente, sabato, mi chiamarono dal reparto che erano le 7 per avvisarmi che non aveva passato la notte. Non ci sorprese.
Sei anni dopo valgono le parole pronunciate allora a quei colleghi che mi cercarono per sapere qualche dettaglio: «Si è spento come una candela, fino a mezz’ora prima c’era la luce e poi, all’improvviso, il buio». Adesso mi piace pensare che tornerà idealmente in pista a Cortina d’Ampezzo, lui nato nel maggio 1921 a Lavis a nord di Trento, per i Mondiali del 2021. E un lustro dopo le Olimpiadi 2026, settant’anni dopo quelle del 1956 quando fu lo speaker ufficiale. Quante storie possono essere raccontate.