Michelin il giorno dopo, e la domanda che da alcune edizione viene spontanea è la stessa, ora ancora più che in passato: la Rossa fotografa, premiando e bocciando, la ristorazione italiana nella sua completezza o premia soprattutto, in pratica solo l’Italia che piace ai francesi?
Non vi possono essere dubbi sull’italianità di un Massimo Bottura o di un Mauro Uliassi fresco di tre stelle, e con loro della stragrande maggioranza delle insegne riportate, 2098, delle quali 367 stellate. Ma l’Italia non è solo locali in hotel di lusso, ristoranti dorati con o senza tovaglie, trattorie o, per dirla al passo con i tempi, bistrot. La pizza è Italia, per questo ogni edizione è un lavoro monco.
Cambia il direttore del settore guide, da Mike Ellis a Gwendal Poullennec, non la musica che esce dall’organetto: «I nostri ispettori in tutto il mondo si attengono agli stessi criteri di valutazione, dalla qualità della cucina alla costanza del livello nel tempo», come dichiarato a Rocco Moliterni della Stampa. Conta più la regolarità dell’acuto, guai entusiasmare una sera e deludere la volta seguente. Se vali quella certa cifra, quella deve sempre essere. La costanza non va confusa con la media dei giudizi.
Quello che porta tanti a pensare, sottoscritto compreso, che la Michelin non esamini la ristorazione italiana in ogni sua sfaccettatura, ma solo quello che le risulta gradito, è un sempre più scandaloso rifiuto di avvicinarsi a… Continua a leggere qui.